Quel ‘Gentiluomo in mare’ che non può essere salvato

AGI – Basta una piccola macchia d’unto per scivolare fuori dalla vita. Mettere il piede in fallo, mancare un passo, e ritrovarsi in mare aperto con una sola necessità in corpo: imparare a sperare. Henry Preston Standish, il protagonista di “Gentiluomo in mare” (Adelphi, 2023, 153 pp.) è un uomo noioso, comune, “scialbo come una tela grigia”. Una moglie che lo ama, due figli piccoli che adora “di un amore orgoglioso e malinconico”, un lavoro fortunato come broker finanziario alla Borsa di New York e un appartamento vicino a Central Park. Vestiti impeccabili e pensieri ineccepibili. Vivere, ogni giorno, cercando di non vergognarsi mai di niente.

Un uomo cade da una nave da crociera nel bel mezzo dell’oceano e medita. La novella perfetta. Cento pagine grottesche, esilaranti, perfide. Tradotto e curato dal vostro affezionatissimo. Esce il 31 gennaio. pic.twitter.com/N6EoE4OgXf

— Marco Rossari (@marco_rossari)
January 17, 2023

Una routine che all’improvviso si spezza. Dentro Standish qualcosa si rompe. “Il rifiuto di tutto” spiegherà a sé stesso, più tardi, mentre galleggiando nell’oceano osserverà il tramonto accendersi e la nave, l’Arabella, allontanarsi.

Standish è un uomo solo, incompleto, incastrato e incastonato in una bolla di perfezione che, nel momento in cui scoppia, non può che portare a una fine imprevista, quasi sadica, densa di humour nero. Un epilogo tra riflessioni e battute che all’apparenza sembrano fuori tempo, fuori sincro. Essere educati, osservare il decoro, non alzare mai la voce: qualità apprezzate in una società come quella degli anni ’30, quando il libro esce, ma totalmente inutili quando l’unica necessità di un uomo è la sopravvivenza.

Standish non urla nemmeno quando cade in mare. La voce si strozza in gola, le mani restano inermi: chi non ha mai fatto del male non può, di sicuro, soccombere per un destino immeritato e ingiusto. “Dio dovrebbe vergognarsi per aver permesso una tale iniquità”, si ritroverà a pensare. E non sarà l’unica meditazione che, nel corso delle ore, tra il nuotare e il fare il “morto a galla”, si ritroverà a fare.

Vita, morte, futuro, relazioni. Tutto affiora per poi riaffondare nelle viscere della sua mente. Sempre provando a sperare. Sempre avendo fiducia. Sempre chiudendo fuori dalla mente quella che, invece, è la fragilità e l’ineluttabilità della vita. Quell’imbarcazione, in fondo, tornerà indietro a prenderlo, le persone si accorgeranno che è sparito, le luci, anche di notte, lo individueranno. Tutto, allora, diventerà un racconto su cui ridere, un articolo da pubblicare su un giornale, un aneddoto da tirare fuori ogni volta che l’occasione sembrerà propizia.

Il lettore di “Gentiluomo in mare” non può che seguire questa parabola discendente, in cui l’ironia si trasforma in malinconia, la fiducia in paura. Imparare a sperare non è semplice neanche per chi legge: è un esercizio tremendo, a tratti crudele, ma essenziale per voltare le pagine.

Marco Rossari, il curatore di questa edizione, racconta alla fine del libro l’esistenza sfortunata dell’autore, Herbert Clyde Lewis, figlio d’immigrati russi in America, che voleva vivere di scrittura e mai ci riuscirà. Tra brevi acuti, orizzonti ingannevoli e una morte prematura, resterà “a mollo” per troppo tempo.

Nel racconto, Lewis ha un moto di affetto per il suo ‘gentleman’. E forse per sé stesso. Sembra quasi provare un’amara tenerezza sapendo che la rotta non si potrà cambiare. Ed è come se, anche se lo avesse voluto, con la penna tra le dita, non avrebbe potuto fare nulla per lui, scrittore e personaggio. Standish “guardò il cielo che era grande quanto il coraggio di un uomo mentre il mare si estendeva più vasto delle sue speranze”.

Inversa sorte avrà questo libriccino: sepolto vivo dalle acque del tempo riemerge prepotentemente oggi, salvato, lui sì, dalle onde di un mare, quello letterario, placido ma altrettanto micidiale. “Il mondo aveva bisogno di quella storia” pensa a un certo punto Standish mentre l’acqua lo circonda. E, come ricorda Rossari nella postfazione, il mondo ne aveva davvero bisogno ma “non in quel momento”. Oggi, invece, sì.