Antisemitismo a scuola, Harvard mette sotto accusa il suo presidente

AGI – Il futuro della presidente dell’università di Harvard, Claudine Gay, è in bilico. Dopo la disastrosa audizione davanti alla commissione della Camera del Congresso americano, in cui lei e le presidenti di University of Pennsylvania, Elizabeth Magill, e del Massachusett Institute of Technology, Sally Kornbluth, non sono riuscite a condannare con chiarezza gli slogan antisemiti evocati durante le proteste studentesche, il board di Harvard è sotto pressione.

Numerose le richieste di silurare la presidente. I donatori hanno congelato ricche donazioni ai programmi della università americana d’elite, mentre venerdì settantaquattro rappresentanti del Congresso hanno chiesto la rimozione delle tre donne. Magill, sabato sera, ha lasciato l’incarico. Ora l’attenzione è tutta su Gay, indicata come la prossima che potrebbe saltare.

Subito dopo l’audizione di una settimana fa, quando aveva risposto con un “dipende dal contesto” alla domanda dei membri della commissione se invocare il genocidio degli ebrei avesse violato il codice di comportamento, la presidente di Harvard aveva fatto una chiara retromarcia: prima aveva definito “vile” invocare il genocidio, poi in un’intervista aveva chiesto pubblicamente scusa a studenti e docenti ebrei che si erano sentiti offesi dalle sue risposte evasive.

Nelle ultime ore il board di Harvad si è riunito a porte chiuse per discutere del futuro di Gay. Il portavoce dell’università non ha risposto alle richieste di commento da parte di molti media americani. Una decisione è attesa da un momento all’altro. Nel frattempo più di settecento docenti della facoltà hanno manifestato sostegno alla presidente, tra cui Jason Furman, economista ed ex consigliere di Barack Obama.

La domanda che si fanno tutti è se nelle università americane si stia diffondendo l’antisemitismo. A vedere l’ultimo sondaggio YouGov/The Economist sembra di sì: secondo un rilevamento condotto su circa 1500 persone, per un giovane americano su cinque tra i 18 e i 29 anni l’Olocausto è un mito. La distruzione di due terzi degli ebrei in Europa messa in atto dal Terzo Reich nazista dal ’33 al ’45, e che vide anche l’eliminazione di oppositori politici, cristiani, rom, sinti, disabili, omosessuali, non è esistita.

La percentuale di un giovane su cinque è quasi tre volte più degli americani che hanno tra i 30 e i 44 anni, mentre un altro 30 per cento di giovani confessa di non sapere se sia o no un mito. Però molti credono al luogo comune secondo cui gli ebrei “hanno troppo potere” in America. A pensarla così è quasi un afroamericano su tre, un ispanico su cinque e poco più di un americano bianco su dieci.

Ma complessivamente i giovani secondo cui gli ebrei hanno troppo potere sono quasi cinque volte di più delle persone con più di 65 anni: il 28 per cento contro il 6 per cento. I numeri si saldano a un aspetto sociale e demografico: più si abbassa l’età e più cresce l’antisemitismo. E qui si entra nella generazione scolastica. Il Congresso e la Casa Bianca hanno preso sul serio la sfida nel contrastare il fenomeno, e hanno avviato una serie di indagini che riguardano le scuole americane.

L’audizione delle tre presidenti delle università d’elite era solo un momento di questa ondata di verifiche sullo stato dell’antisemitismo tra gli studenti. Resta da chiedersi come si sia arrivati a questo risultato. L’Economist non ha dubbi: i social media svolgono un ruolo chiave. Secondo Pew Research Centre, gli americani con meno di trent’anni sono più portati a credere alle informazioni diffuse sui social rispetto a quelle che si trovano sui media tradizionali.

Il 32 per cento di chi ha tra i 18 e i 29 anni si informa su TikTok, una delle piattaforme più seguite in cui diventano virali le teorie complottiste. Generation Lab, che analizza i trend sui social, ritiene che i giovani utenti di TikTok abbiano più probabilità di diventare antisemiti e considerare l’Olocausto ridotto a mitologia. Mentre un americano su tre considera l’antisemitismo un “problema molto serio”, tra i giovani la percentuale scende a uno su quattro.

A questi dati si aggiunge un altro non meno inquietante, fornito dall’Anti-Defamation League, organizzazione che contrasta i fenomeni di antisemitismo: il 73 per cento di più di cinquecento studenti ebrei iscritti ai college americani ha dichiarato di aver subito o essere stato testimone di un episodio di odio religioso. Una data sembra fare da spartiacque: il 7 ottobre, quando i miliziani palestinesi di Hamas hanno ammazzato più di 1200 israeliani. Da quel giorno il disagio degli studenti ebrei è raddoppiato: le persone che hanno confessato di non sentirsi al sicuro nei campus universitari sono passate dal 38,6 al 63,7 per cento.