“Gaza non è più Gaza”

AGI – Il ministro della Cultura palestinese, Atef Abou Seif, si trovava nella Striscia di Gaza il 7 ottobre per lanciare la Giornata del patrimonio palestinese quando è scoppiata la guerra tra Israele e Hamas. È rimasto intrappolato lì per 90 giorni. Ora, tornato nella Cisgiordania occupata, ha descritto la situazione nel territorio palestinese devastato in un’intervista con l’agenzia AFP. La frase più forte è, senza dubbio, “Gaza non è più Gaza“. Il 7 ottobre era la Giornata del Patrimonio Palestinese e il ministro ha voluto celebrarla nella Striscia  “per la prima volta nella storia”, ha detto dal suo ufficio a Ramallah, dove ha sede l’Autorità Palestinese nel territorio occupato da Israele dal 1967. La cerimonia era prevista per quella mattina al museo Al-Qarara di Khan Younès, nel sud di Gaza. Ma non ha mai avuto luogo: poche ore prima, Hamas ha lanciato un attacco senza precedenti sul suolo israeliano. L’attacco ha causato la morte di oltre 1.160 persone, la maggior parte delle quali civili uccise nello stesso giorno, secondo un conteggio AFP basato su dati ufficiali israeliani. In risposta, Israele ha giurato di “distruggere” Hamas, al potere a Gaza dal 2007, e ha lanciato un’offensiva che ha provocato più di 27.800 morti nel territorio palestinese, la maggior parte dei quali donne, bambini e adolescenti, secondo il movimento islamista palestinese.

Una guerra orrenda

Nato a Gaza, Atef Abou Seif, 50 anni, racconta di aver trascorso i primi 48 giorni di guerra con il figlio 17enne e i membri della sua famiglia nel campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza. Ma la loro casa è stata colpita da un attacco che lui attribuisce a Israele, costringendoli a fuggire. Si sono diretti a sud verso Rafah, al confine con l’Egitto, che l’esercito israeliano vede ora come la prossima tappa della sua campagna militare contro i vertici di Hamas.

Il ministro ha un ricordo doloroso del suo soggiorno a Jabalia, che è stata in gran parte distrutta. “Siamo rimasti scioccati nello scoprire che il corpo che un amico aveva tirato fuori (dalle macerie) era quello di suo figlio di 16 anni”, ricorda. “La guerra a Gaza è orribile”. Atef Abou Seif racconta di aver lasciato Gaza attraverso il terminal di Rafah per tornare a Ramallah attraverso la Giordania, dopo 90 giorni trascorsi nel territorio palestinese assediato.

“Non riesco a immaginare come sia ora il mio quartiere nel campo di Jabalia”, dice, aggiungendo che i palestinesi mettono da parte il loro dolore “perché anche la tristezza non ha più senso”.

 

“Scrivere da dietro le linee”

Prima della guerra, il ministro era solito recarsi a Gaza da Ramallah il giovedì per incontrare alcuni suoi amici. “Oggi, quasi la metà di loro è stata uccisa”, dice, menzionando che “più di 100 membri della sua famiglia” sono morti.

Il sabato si incontrava spesso con altri membri di un’associazione di giornalisti a Gaza. “Ora (…) non c’è più nessuno”, dice, “sono stati tutti uccisi”. Atef Abou Seif dice di essere “terrorizzato” all’idea di tornarci alla fine della guerra, tormentato da una domanda ossessiva: “In che stato troverò Gaza?”

 

Secondo il Ministero della Cultura palestinese, circa 24 istituti culturali e 195 edifici storici, tra cui moschee e chiese, sono stati danneggiati o completamente distrutti dalla guerra. Sono stati distrutti anche siti storici come il museo di Al-Qarara, che era circondato da colonne romane risalenti a 5.000 anni fa, e un antico porto fenicio. Al suo ritorno in Cisgiordania, il ministro ha esortato gli autori e gli accademici palestinesi che vivono a Gaza a descrivere la loro vita quotidiana. Ha prodotto un libro intitolato “Scrivere da dietro le linee”, che contiene i racconti di 24 autori.  Uno di questi, intitolato “L’asino del ritorno”, racconta la storia dei gazesi costretti a usare i carretti trainati dagli asini per spostarsi a causa della grave carenza di carburante. Altri raccontano le difficoltà affrontate dagli sfollati nel proprio Paese, intitolati “Dalla casa di mia nonna alla tenda”, “Sette volte sfollati” o “Speriamo di sopravvivere”.

 

Vogliamo che tutto il mondo li legga (Atef Abou Seif)