Gigi Riva, il supereroe divenuto leggenda

AGI – “Gigi compirà 80 anni e tu non sai ancora cosa fare”. Negli ultimi tre mesi ho pensato spesso a cosa potessi inventarmi per rendere omaggio a Gigi Riva nel suo imminente, tondissimo, compleanno. Poche settimane fa, guardando la foto pubblicata dal figlio durante le feste di Natale, ho pensato di avere ancora tempo. Il 7 novembre, del resto, era ancora lontano e qualcosa, in fondo, come sempre, mi sarei inventato. Non ho mai pensato, questo sì, che quella data potesse arrivare senza di lui.

Per un sardo, per un tifoso del Cagliari, l’uomo non era più scindibile dalla leggenda.  Il concetto di morte non era associabile a Gigi Riva, nonostante gli acciacchi e i problemi di salute. E quando la notizia è rimbalzata nelle immancabili chat di Whatsapp, i messaggi erano quasi tutti accompagnati da un punto di domanda: “Ma è morto Gigi?”, “Non stava meglio?”, “Dove lo hai letto?”. Incredulità, con una punta di rifiuto e rigetto.

 

Ho guardato il notiziario di AGI e ovviamente il flash era già lì. Tre piccoli ugualetti e la frase, secca, quasi crudele, che tracciava una linea netta. Un prima e un poi. Ho pensato a mio padre, a mio nonno (che lo avrà accolto con una stretta calorosa), ai miei zii, ai loro amici. Ho pensato a loro perché io, in fondo, Gigi Riva l’ho conosciuto tramite i loro occhi, le loro parole, i loro racconti. E allo stesso modo ho ripensato ai luoghi che tutti loro mi indicavano, a Cagliari, da bambino, da ragazzo, da uomo. Ripetendo, ricordando, sorridendo. Sempre con lo stesso fanciullesco entusiasmo e come se fosse la prima volta. 

 

 

“Quello è lo stadio Amsicora, lo stadio di Gigi Riva”. “Quello è il ristorante” alla Marina “dove c’è il tavolo di Gigi Riva”. “In questa spiaggia non sai quante donne ha fatto innamorare Gigi Riva”. Stadi, locali, spiagge, persino marciapiedi e parcheggi. “Qui gli ho stretto la mano”, “Qui abbiamo ricordato Scopigno”. “Qui abbiamo scattato quella foto”. Gigi Riva era ovunque. Tutto gli apparteneva, di diritto, senza che avesse mai acquistato nulla. Un posto per lui c’era, in ogni luogo, fisico e no, senza dover chiedere niente a nessuno.

 

 

Una volta mio nonno disse proprio “Giggi Riva”. E scherzando gli risposi: “Ma quante G ha il suo nome?”. “Quella G in più è per i gol che faceva, che spettacolo”. In quel momento capii che per la loro generazione, ‘Rombo di Tuono’, è stato una benedizione, la leva del riscatto per un’isola orgogliosa ma prigioniera e schiava dei pregiudizi provenienti d’oltremare. Qualcosa che andava oltre lo scudetto del 1970 e la gioia infinita che regalò a un popolo intero. Ma anche lui, Gigi Riva, era alla ricerca di un riscatto dopo un’infanzia difficile, la perdita del padre e l’assenza di certezze. La Sardegna si è rivelata quello che mai l’attaccante di Leggiuno avrebbe pensato. Una nuova casa, con la porta d’ingresso sempre spalancata. Un luogo dove non avere, mai più, paura della vita. Un posto dove abbracciare ed essere inondato di affetto.  Io Gigi Riva calciatore non ho avuto la fortuna di poterlo vedere. C’è YouTube, certo, i documentari, tanti, ma è come guardare una reliquia del passato provando a sentire emozioni che il tempo non può più trasmettere. Eppure, ho avuto la fortuna di poterlo immaginare, grazie alle parole di chi lo ha visto. Di chi c’era, per davvero, allo stadio. 

 

 

Riguardo oggi le foto postate sui social, in queste ore di cordoglio. Sono tutte in bianco e nero, un po’ sbiadite, piene di significati. Calzoncini attillatissimi, maglie strettissime. I 4 mori, immancabili. Gigi Riva non ha mai i piedi a terra. È in cielo, pronto a colpire di testa. È capovolto, abbozzando una rovesciata. È nel mezzo di un tuffo, sempre con gli occhi verso la porta. Ecco, Gigi Riva per me era un supereroe. Disegnategli il mantello, in quelle foto, con la S di Sardegna in petto e avrete l’immagine che ho sempre avuto di lui. Un uomo che sapeva volare in campo, imprendibile. Dotato di poteri straordinari ma con un punto debole, come Achille: la caviglia, stavolta, e non il tallone.

 

Poi ho letto gli aneddoti, le testimonianze, i dialoghi. E ho capito che, allo stesso tempo, Riva era un uomo senza mantello, fragile come tutti, con i piedi ben ancorati in quella terra, senz’erba, che circonda qualunque stadio. Alla fine, lo ha tradito proprio il cuore, quell’amico che lo aveva guidato, consigliato, accompagnato, in tutta la sua vita da condottiero. E il suo nome, proprio come Amsicora, figura storica e favolosa della storia sarda, sarà associato per sempre al futuro stadio del Cagliari, fonte d’ispirazione per i numeri 11 che verranno (anche da fuori Sardegna). Mi fermo, respiro. Mancano poco più di 9 mesi agli 80 anni di Gigi Riva. E se oggi, in tanti, abbiamo voluto ricordare soprattutto l’uomo, sono sicuro che qualcosa ci inventeremo, a novembre, per rendere omaggio, ancora una volta, alla leggenda.