Il fratello di Saman accusa i familiari, ma le sue parole sono inutilizzabili

AGI – Il principale teste dell’accusa nel processo per l’omicidio di Saman diventa un ‘fantasma‘. Tutto quello che il fratello minore della ragazza uccisa nella primavera del 2021 aveva messo a verbale finora non vale più perché avrebbe dovuto essere ascoltato alla presenza di un avvocato.

Un po’ come le ‘olgettine’ nell’inchiesta Ruby le cui testimonianze, rese durante le indagini, vennero ‘cancellate’ per la stessa ragione aprendo la strada all’assoluzione di Silvio Berlusconi. Lo hanno deciso, accogliendo le osservazioni di alcune difese, i giudici della Corte d’Assise di Reggio Emilia con una complessa ordinanza nella quale spiegano che a carico del ragazzo emergevano “precisi indizi di correità che avrebbero dovuto portare alla sua iscrizione nel registro degli indagati a titolo di garanzia” fin dall’incidente probatorio del giugno del 2021 e da due successivi confronti col pm dei Minori.

In quelle occasioni, il giovane ora 18enne aveva puntato il dito nei confronti degli imputati, in particolare dello zio Danish. Ma, hanno ricordato nell’udienza i giudici, in alcune telefonate intercettate aveva anche lasciato intendere di essere quantomeno a conoscenza di quello che i genitori, lo zio e i due cugini, tutti imputati, stavano per fare allo scopo di punire la sorella colpevole di non accettare un matrimonio forzato in Pakistan e di cercare una vita libera in un contesto che la vedeva segregata in casa col solo ‘cannocchiale’ sul mondo dei social.

La Corte ha sottolineato che la sera in cui Saman venne uccisa, già consapevole dei brutali propositi dei parenti, mostrò agli imputati i messaggi tra la sorella e il fidanzato inviso alla famiglia. “Non si intende formulargli degli addebiti ma garantirgli delle prerogative che gli sarebbero spettate sin dal principio”, chiarisce la Corte perché, sulla base di alcune conversazioni intercettate, sembrava che il giovane potesse essersi reso autore “di una condotta idonea a fornire un contributo all’omicidio e meritevole di un dovuto approfondimento investigativo”.

A questo punto l’avvocato Valeria Miari ha chiesto che il ragazzo non venisse sentito anche se era già presente in aula e coperto dal paravento come previsto dalle modalità protette che gli devono essere riservate per le pressioni ricevute dai familiari sulla sua testimonianza, documentate da alcune intercettazioni.

Una scelta per riflettere sulla strategia futura condivisa dalla Corte che ha fissato una nuova udienza per il 31 ottobre. Il giovane è davanti a un bivio molto delicato, crocevia del processo e della sua giovane esistenza: può avvalersi della facoltà di non rispondere, a cui non avrebbe potuto richiamarsi se i giudici non l’avessero considerato ‘indagabile’, oppure rispondere o quantomeno rendere dichiarazioni spontanee.

Nel primo caso, renderebbe ‘felici’ i parenti che lo incalzano, nel secondo potrebbe scontentarli. In entrambe le situazioni rischia di dare ulteriori elementi alla Procura per i Minori per indagarlo alimentando l’ambivalenza della sua figura. Teste dell’accusa, minacciato dai parenti e accusato di avere dato un contributo all’omicidio. Di certo era un ragazzo di 16 anni finito in un cratere pronto a esplodere, con pochi strumenti per mettersi al riparo.