La carne rossa fa bene o fa male?

AGI – La carne rossa fa bene o fa male? E se l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha avvertito sui rischi che un consumo eccessivo può portare alla salute, il dibattito sugli effetti della carne sulla salute umana negli ultimi anni si è fatto più intenso che mai. Per approfondire e fare chiarezza Agi ha incontrato il prof. Andrea Poli, presidente della Nutrition Foundation, l’associazione non profit che opera per promuovere il dibattito scientifico, la corretta informazione e la ricerca in tema di alimentazione e salute. Studioso della relazione tra alimentazione e malattie degenerative, dell’epidemiologia dei consumi alimentari nel nostro Paese e della relazione tra ipercolesterolemia e rischio cardiovascolare, Poli è recentemente intervenuto “Carni rosse: economia, salute e società” organizzato dall’Accademia Nazionale dell’Agricoltura.

 

Professore, i dati epidemiologici sembrano dimostrare che un alto consumo di carni rosse (bovino, maiale, agnello, cavallo) aumenta il rischio di sviluppare diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, alcune forme di tumore come il tumore del colon-retto. È così o sono solo fake news?

Il punto chiave al proposito è proprio “alto consumo”. In molti studi di epidemiologia osservazionale si osserva spesso un’associazione significativa (che, attenzione, non indica necessariamente un rapporto di tipo causale) tra il consumo di carne rossa ed il rischio di sviluppare le patologie ricordate: ma l’associazione è quasi sempre limitata alle categorie di persone che ne consumano quantità molto elevate, in genere superiore ai 160 g al giorno. Si tratta di livelli inusuali nel nostro paese, che equivalgono a più di 1 kg per settimana, e che sono spesso indicativi di uno stile alimentare complessivamente non equilibrato. Per livelli di consumo più bassi l’eccesso di rischio di sviluppare queste patologie si riduce in genere fino a scomparire.

 

Ma il consumo di carne rossa aumenta davvero il rischio di mortalità per l’uomo?

I dati al proposito sono almeno in parte controversi, ma la principale pubblicazione che ha affrontato questo tema, firmata dal gruppo di ricerca denominato GBD (Global Burden of Disease) e pubblicata sull’autorevole The Lancet, suggerisce che a livello mondiale la carne rossa contribuisca, seppure in modo minimo, alla mortalità associata alla dieta (è l’ultimo tra i 15 fattori di rischio identificati). In Europa, al contrario, il consumo di carne rossa non appare nell’elenco delle condizioni di rischio di mortalità associata alla dieta che il GBD è stato in grado di identificare. Si può concludere che è improbabile che il consumo di carne rossa, specie se moderato, contribuisca in modo significativo alla mortalità associata alla dieta.

 

Le tecniche di cottura sono importanti e possono fare la differenza quando si parla di salute, quali sono secondo lei le più salutari?

È probabile che le cotture che comportano carbonizzazione di tessuto organico (come le grigliature o le cotture alla brace molto spinte, con un importante annerimento della carne) possano aumentare il rischio di produzione di composti cancerogeni, e quindi l’insorgenza di alcuni tumori, come quelli del colon retto. È certamente opportuno non spingere le cotture fino a questo punto.

 

 

 

Il consumo di carne rossa andrebbe limitato con l’avanzare dell’età?

Probabilmente no. Sappiamo ormai con certezza che nelle persone di età avanzata è importante aumentare l’apporto di proteine di buona qualità, per prevenire la comparsa del decadimento muscolare, frequente a questa età e che può portare alla sarcopenia. Il decadimento muscolare induce un significativo peggioramento della qualità di vita e aumenta il rischio di cadute, molto pericolose in questa fascia di età. Un consumo intelligente e non eccessivo di carne rossa può contribuire a questo aumentato fabbisogno fornendo proteine di elevata qualità.

 

Per chi è sconsigliata la carne rossa?

Nella situazione attuale delle conoscenze epidemiologiche non è facile rispondere a questa domanda. I risultati dei nuovi studi tendono tuttavia a muoversi nella direzione della cosiddetta nutrizione di precisione: che cerca di fornire suggerimenti personalizzati, e non indirizzati all’intera popolazione, sull’associazione tra specifici consumi alimentari e rischi di specifiche patologie.

Studi recenti suggeriscono, per esempio, che la diversa composizione del microbiota intestinale possa modificare il rischio associato al consumo di quantità elevate di carne rossa: alcuni ceppi batterici sono infatti in grado di modificare le proteine della carne trasformandole in composti potenzialmente pericolosi. È probabile che in un futuro non troppo lontano saremo in grado di esaminare il microbiota delle singole persone, e di valutare quindi l’esistenza o l’assenza di queste di queste criticità: ma nella situazione attuale non è possibile farlo. Quello che possiamo dire per ora è che è l’eccesso di consumo di carne rossa ad essere sconsigliato, a tutti.