Patto di stabilità, l’accordo non c’è. Per ora

AGI – La cena dell’Ecofin si è chiusa senza un accordo sul nuovo Patto di stabilità e crescita. “La presidenza spagnola ha lavorato intensamente, considerando attentamente tutti gli Stati membri, per allineare le posizioni e ha messo sul tavolo un nuovo testo di compromesso”, spiega una fonte diplomatica alla conclusione dei lavori dopo otto ore di confronto (dalle 20 alle 4 del mattino).

“Abbiamo fatto molti progressi oggi. Si tratta di un negoziato impegnativo e ci stiamo arrivando. Al tavolo c’è la volontà di concludere un accordo, ma c’è ancora del lavoro da fare. Abbiamo bisogno di valutazioni giuridiche e consultazioni sulla nostra proposta, che non abbiamo potuto portare a termine stasera. Oggi siamo andati il più avanti possibile. Continueremo il lavoro nei prossimi giorni. Gli elementi costitutivi di un accordo ci sono, ma è necessario il lavoro finale sulla stesura e sulla calibrazione giuridica”, afferma ancora la fonte europea. 

Il testo di compromesso presentato dalla presidenza spagnola di turno del Consiglio Ue nella prima versione scontenta tutti. L’intesa – racconta chi era presente in sala – sembrava tutt’altro che vicina. È in salita, senza tirare fuori percentuali che potrebbero essere ben più basse rispetto a quelle espresse agli arrivi all’Eurogruppo.

Nessun Paese si è detto apertamente soddisfatto del testo presentato (ma d’altronde l’ex vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, diceva che un compromesso è buono quando scontenta tutti perché ciascuno deve rinunciare a qualcosa). Si tratta su numeri ma anche di approcci. Il ministro dell’Economia italiano, Giancarlo Giorgetti – a quanto si apprende – ha ribadito la sua posizione: “Non si può dire che l’Italia non è d’accordo sul nuovo Patto. L’Italia è a favore di un rientro dal debito con un aggiustamento serio e sostenibile. Rigoroso ma sostenibile”. Nella sostanza per il titolare del Mef, “le regole fiscali devono essere coerenti con gli obiettivi politici che ci siamo dati nei nostri Paesi e in Europa”.

Nello specifico, nell’ultima bozza viene richiesto un taglio medio minimo del debito pari all’1% annuo per i Paesi con un rapporto debito/Pil superiore al 90% del Pil (0,5% per quelli con debito sopra il 60%) e stabiliscono l’obiettivo di ridurre il deficit all’1,5% come margine di sicurezza. Il ministro francese, Bruno Le Maire, chiede in particolare che, nel caso dei Paesi che si impegnano a realizzare una serie di investimenti e riforme, l’aggiustamento strutturale venga ridotto dallo 0,5% allo 0,3% del Pil, ma il suo omologo tedesco Christian Lindner non vede favorevolmente l’opzione.

“I deficit eccessivi devono avere un trattamento differenziato, serve più ambizione per combattere i deficit eccessivi”; ha affermato al suo arrivo alla riunione, riconoscendo il punto di divergenza con il collega francese nonostante Parigi e Berlino siano d’accordo sul 90% del testo. Gli Stati membri restano inoltre divisi sull’indicatore con cui verrà misurato l’aggiustamento del deficit: attualmente si prende il deficit strutturale, ma l’Italia (tra gli altri) chiede che venga utilizzato il deficit strutturale primario, che esclude il pagamento degli interessi sul debito.