Primo giorno di tregua a Gaza, liberi 24 ostaggi

AGI – Per la prima volta dal sette ottobre si è parlato di gioia. In Israele e Gaza. Gioia per gli ostaggi liberati da Hamas e per prigionieri rilasciati in cambio. Ma si tratta di una gioia precaria e temporanea, come la tregua di quattro giorni che ha permesso di siglare l’intesa, che offre un minimo di sollievo agli abitanti di Gaza che finora assediati e bombardati incessantemente.

Sono 24 gli ostaggi liberati (13 israeliani, dieci tailandesi e un filippino), consegnati ieri da Hamas al Comitato internazionale della Croce rossa a Gaza e riportati in Israele attraverso l’Egitto. In cambio Israele ha rilasciato 39 donne e bambini palestinesi detenuti. Tra gli ostaggi rilasciati da Hamas vi sono quattro bambini, di cui uno di due anni, e sei donne anziane.

Ecco i loro nomi identificati dal ‘Times of Israel’: 

  • Channa Katzir (77 anni)

  • Margalit Mozes (77 anni)

  • Yafa Ader  (85 anni)

  • Hannah Perry (79 anni)

  • Adina Moshe (72 anni)

  • Daniele Aloni (44 anni)

  • Emilia Aloni (9 anni)

  • Ruthi Monder (78 anni)

  • Keren Monder (54 anni) e Ohad Monder (9 anni).

  • Aviv Asher (2 anni)

  • Raz Asher (5 anni)

  • Doron Katz-Asher (34 anni)

  • L’elenco non comprende il nome dell’israelo-americana Abigail Edan, bambina di 4 anni (oggi è il suo compleanno) rimasta orfana.

“Le loro condizioni fisiche sono buone e sono attualmente sottoposti ad una valutazione medica e psicologica”, ha detto il direttore dello Schneider Children’s Medical Center, Efrat Bron-Harlev, che li ha accolti. A Tel Aviv, sulla facciata del Museo d’Arte sono stati proiettati i volti sorridenti degli ostaggi liberati, con la scritta: “Sono tornato a casa”.

Ma molti parenti degli ostaggi pensano soprattutto ai loro cari ancora detenuti a Gaza. “Sono felice di aver trovato la mia famiglia. Provare gioia è permesso ed è permesso versare una lacrima. E’ umano.

Ma non farò festa, non finchè non torneranno a casa gli ultimi ostaggi”, ha affermato Yoni Asher, che ha potuto rabbracciare sua moglie Doron e le sue due figlie di due e quattro anni. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, che considera il rilascio degli ostaggi un prerequisito per qualsiasi cessate il fuoco, si è detto determinato a “riportarli tutti indietro” in Israele.

L’esercito stima che siano 240 le persone rapite da Hamas il 7 ottobre. L’accordo – ottenuto grazie alla mediazione di Qatar, Egitto e Stati Uniti – prevede una tregua rinnovabile di quattro giorni tra Israele e Hamas, durante la quale dovranno essere rilasciati 50 ostaggi detenuti a Gaza, nonchè 150 palestinesi detenuti in Israele. In seguito alla liberazione dei primi 39, si sono registrate scene di giubilo nella Cisgiordania occupata. I palestinesi liberati sono stati accolti da eroi nei campi di Beitunia e Nablus.

A Gerusalemme Est, occupata da Israele dal 1967, è invece vietata ogni celebrazione attorno ai prigionieri liberati. “Sono felice, ma la mia liberazione è arrivata a prezzo del sangue dei martiri”, ha detto Marah Bakir, 24 anni, otto dei quali in prigione per il tentato omicidio di una guardia di frontiera israeliana.

“Ho trascorso la fine della mia infanzia e della mia adolescenza in carcere, lontano dai miei genitori e dai loro abbracci, ma è così con uno Stato che ci opprime e non lascia in pace nessuno di noi”, ha aggiunto.

All’alba di venerdì, quando gli incessanti attacchi aerei durati quasi 50 giorni si erano calmati, così come il lancio di razzi da Gaza verso Israele, decine di migliaia di palestinesi sfollati nel sud della Striscia avevano già raccolto i loro effetti personali per tornare ai loro villaggi. Omar Jibrine, 16 anni, si era rifugiato con altri otto membri della sua famiglia all’ospedale Nasser nella città di Khan Younes.

Un quarto d’ora prima ancora che la tregua entrasse in vigore, ha preso la strada verso il suo villaggio, a pochi chilometri di distanza: “Vado a casa”, ha detto all’Afp. Ma mentre macchine e carri si mettevano in moto, volantini in arabo lanciati dal cielo dall’esercito israeliano intimavano: “La guerra non è ancora finita”. “Il ritorno al Nord è vietato”.

L’esercito considera la zona settentrionale della Striscia di Gaza, da dove centinaia di migliaia di palestinesi sono fuggiti verso sud, come una zona di combattimento che protegge le infrastrutture di Hamas. “Prendere il controllo del nord della Striscia di Gaza è il primo passo di una lunga guerra e ci stiamo preparando per le fasi successive”, ha detto il portavoce dell’esercito israeliano, Daniel Hagari.

Dal 9 ottobre Israele ha posto il territorio, già soggetto al blocco israeliano dal 2007, in uno stato di “assedio totale”, interrompendo le forniture di elettricità, acqua, cibo, medicine e carburante. Si prevede che la tregua consentirà a più convogli di aiuti di entrare nel piccolo territorio sovrappopolato dove, secondo le Nazioni Unite, 1,7 milioni dei 2,4 milioni di persone sono state sfollate a causa della guerra.

Venerdì, 200 camion carichi di aiuti sono entrati a Gaza, secondo il dipartimento del ministero della Difesa israeliano responsabile per gli affari civili a Gaza. Si tratta del “più grande convoglio umanitario” dall’inizio della guerra, ha sottolineato l’agenzia delle Nazioni Unite responsabile del coordinamento umanitario (Ocha). Inoltre, sempre secondo l’Ocha, sono stati portati aldilà del confine 129 mila litri di carburante. Ma la tregua resta “insufficiente” per portare gli aiuti necessari, hanno sottolineato le Ong internazionali, che hanno chiesto un vero cessate il fuoco.