“Scrittori al veleno”, la misteriosa morte di quattro persone sulle Cinque Terre

AGI – Da ‘Notizie sull’autore’ di Joe Colapinto a ‘Sarà assente l’autore’ di Giampaolo Simi, gli scrittori si sono spesso confrontati con il loro demone più ingombrante: l’editoria. Perché, superati tutti gli ostacoli che la nascita di un romanzo presenta – dalla crisi creativa alla ricerca di un editore (che non pretenda di farsi pagare, ma al contrario paghi), si tratta poi di affrontare l’imponderabile che può determinare il successo o il fallimento di un’opera e con essa – spesso – del suo autore. Nicola Lecca, che ormai della narrativa italiana è un veterano (la sua prima raccolta di racconti è del 1999) questo mondo lo conosce bene e ha deciso di raccontarne i lati più oscuri – ma anche comici quando non ridicoli – in un giallo che esce oggi per i tipi di Mondadori. ‘Scrittori al veleno’ (pagg. 204, 18,50 euro) racconta della misteriosa morte di quattro promesse della nouvelle vague letteraria di cui secondo gli inquirenti sarebbe responsabile una matura scrittrice sarda passata da un successo stellare a una vita ritirata e a risultati commerciali sempre più deludenti.

La storia, ambientata a Villa Solitudine, un Centro internazionale a tutela della poesia e della letteratura a Manarola, nelle Cinque Terre, porta in scena un autore di bestseller che svela i segreti per diventare perfetti influencer; una parlamentare inglese autrice di un memoir in cui svela il proprio passato di escort; un cantante svedese che non ha letto nemmeno una pagina del romanzo confezionato per lei da un ghost writer e un modello francese dipendente dal Fentanyl, idolo degli adolescenti grazie a una raccolta di versi decisamente instagrammabili. Ma è sopratutto un ritratto impietoso dell’editoria, dei suoi vizi e dei suoi facili innamoramenti. Abbiamo incontrato Nicola Lecca per farci raccontare da cosa prende le mosse il suo romanzo.  

 

Il mondo dell’editoria è spesso al centro di romanzi che ne rivelano le piccolezze  e dissacrano la mitologia. Perché il tema viene affrontato quasi sempre in modo quasi parossistico e perché la scelta del genere (in questo caso il giallo)?

Siamo figli di Goldoni e della Commedia dell’Arte: l’ironia è alla base della nostra letteratura e, comunque, è difficilissimo affrontare con dissacrante sarcasmo i temi più incandescenti. Ecco perchè ‘Scrittori al veleno’ non è soltanto un giallo, ma anche una spietata fotografia: un referto dei nostri tempi. Il pretesto per tutti noi, gente del libro (lettori, scrittori, editori e librai), di guardarci allo specchio e domandarci se l’abisso di sciatteria verso il quale siamo diretti è veramente la direzione in cui vogliamo andare. È giusto chiamare “poeta” e “scrittore” chiunque dimostri di poter vendere grandi quantità di libri, riducendo la qualità a una postilla di secondario interesse? 

 

Quella nel genere è un’incursione estemporanea o un passaggio di cifra nella sua produzione letteraria? 

In 25 anni di carriera ho scritto soltanto romanzi letterari e non ho mai seguito alcuna moda, né ho strizzato l’occhio a generi inflazionati. Per coerenza, non l’ho fatto nemmeno questa volta. Questa mia incursione nel mondo del giallo è stata definita “un riuscito cambio di tono”. Me ne rallegro.

 

Che rapporto ha con la narrativa di genere, a quali autori si è rifatto per questo giallo a chiave?

Adoro Simenon. Un maestro. A lui mi sono ispirato per i tempi teatrali dei dialoghi e per la scrittura vivida e cinematografica. Ma per ‘Scrittori al veleno’ mi sono lasciato ispirare ancor di più da Woody Allen. Soprattutto perchè il suo ‘Match Point’ è molto più che un giallo: e sarebbe davvero riduttivo incasellare un film come quello in qualsiasi genere.

 

Un malpensante potrebbe dire che dietro questo romanzo c’è del livore verso i successi di cassetta, cosa risponderebbe?

Un medico che diagnostica un’appendicite non prova alcun livore.  Al contrario ha soltanto il desiderio di curare il suo paziente e di guarirlo.

 

L’editoria si prende troppo sul serio e romanzi come il suo servono a riportarla con i piedi per terra (e nelle dimensioni che occupa)?

L’editoria, ormai, si limita sempre più a prendere ordini dai lettori e a eseguirli. Come diceva saggiamente il compianto editore Cesare de Michelis bisognerebbe vendere i libri che si fanno e non fare i libri che si vendono…

 

Per i suoi – per certi versi detestabili – personaggi si è ispirato a qualcuno di riconoscibile?

Certo che no! Le uniche a essere riconoscibili in ‘Scrittori al veleno’ sono le Cinque Terre: lo scenario ideale per un romanzo claustrofobicamente kafkiano come questo: ambientato in una villa arroccata sulla più alta scogliera di Manarola, raggiungibile soltanto a piedi, dopo aver salito mille gradini tra sentieri impervi…