Vessicchio: “Non vado al Festival di Sanremo e vi spiego perché”

AGI – Quest’anno Peppe Vessicchio non parteciperà al Festival di Sanremo. Lo annuncia lui stesso all’AGI: “La vita va avanti” minimizza. Ma si rammarica dell’uso straripante della tecnologia nella musica, tanto che (quasi) chiunque potrebbe dirigere un’orchestra, e riflette sulla attuale scena discografica.

 

Compositore, direttore d’orchestra, arrangiatore… quale ordine di importanza attribuisce a queste mansioni nelle quali si cimenta con grande successo? Mettiamola così, se dovessi rinunciare ad uno di queste qualifiche sacrificherei senza alcuna esitazione quella di “direttore” perchè ciò che mi appaga veramente è il “giocare” nel costruire architetture sonore, quindi è il “comporre”. Vuoi che sia un brano, una sinfonia piuttosto che un cosiddetto arrangiamento che poi altro non è che la composizione di tutto quello che circonda e veste un canto che ti viene affidato o che hai scelto. Quindi, per meglio rispondere alla sua domanda, mi titolerei così: Compositore, elaboratore (n.d.r. non gli piace la parola arrangiatore) ed anche direttore d’orchestra.

 

Non trova paradossale che invece proprio lei sia diventato una icona accompagnata dalla frase “dirige l’orchestra il maestro Peppe Vessicchio?”

Ha ragione, ma siamo nell’era dove la narrazione visiva sovrasta qualunque altro linguaggio. Sposta tanti valori.  La gente di norma dice “la canzone di Mina”, “la canzone di Bocelli”, “il pezzo di Mengoni” sorvolando sulla autentica paternità dei brani semplicemente perchè quello che ha visto, e continua a vedere, è la loro faccia abbinata a quella musica. A questa nuova modulazione di valori non può sottrarsi neanche il nostro specifico settore per cui di tutto il lavoro profuso per ottenere una partitura efficace alla fine emergerà l’identità fisica di chi conduce l’esecuzione. Quindi Peppe Vessicchio direttore fa ombra a se stesso in quanto elaboratore e orchestratore del brano che si esegue. Lei pensi all’aria “Nessun dorma” di Puccini; non sa quante volte ho sentito chiamarla “Vincerò” di Pavarotti. 

 

La sua risposta sembra quasi una recriminazione  

Vede, la musica, fin dall’inizio di questa lunga storia d’amore, mi ha fatto scoprire una grande gioia. Quella di potermi immergere nelle melodie, farmi cullare dal ritmo che queste scandiscono e dalle suggestioni che si creano quando intrecciandosi tra loro generano la cosiddetta armonia.  Quando ti avventuri pienamente nel gioco fantastico che l’interazione di tutte queste parti è in grado di sviluppare, a  livello mentale, si genera una vera e propria dipendenza. Quindi, attribuendo grande valore alla composizione, nell’ascoltare brani nuovi mi chiedo da sempre “chissà chi lo ha scritto”. Nella velocità del tempo che viviamo queste sono domande decadono a favore di altre, più utili al mercato: ti piace? Compra! Ascolta! Ti piace quest’altro? Sostituisci! Compra! Ascolta… 
Soffermarci, analizzare quel che sinceramente ci ha colpito, nel dettaglio, nella fattura, potrebbe offrirci l’opportunità di indagare quale passione veramente ci appartiene, da cosa siamo attratti e quindi scoprire quale nostro talento da sviluppare potrebbe attenderci… oltre a quello di “farci notare”.

 

Quindi è così che ha scoperto la sua vocazione per la composizione? O, per dirla come piace a lei, per l’elaborazione?   

Beh si. Mi ritrovavo continuamente a sbirciare nei crediti dei dischi per capire chi fossero gli artefici di quelle misture di suono e ritmo che mi procuravano emozioni. Avevo già consapevolezza che non mi veniva difficile creare strutture musicali con i pochi vocaboli in possesso e che per generosa natura istintivamente padroneggiavo. Ma la vera fortuna credo sia stata quella di scoprire che man mano che il vocabolario sonoro si arricchiva aumentavano parallelamente le possibilità di gioco e la conseguente gioia nel riuscire a maneggiarlo. Si allargava il campo e si moltiplicavano le mie opportunità di espressione. Quindi non mi sono fermato a quello che l’istinto mi regalava, ho voluto caparbiamente capire. La musica è un linguaggio su base fisica che raccoglie contributi grammaticali e sintattici da ogni latitudine. È una lingua che comprende tante lingue. Non la si studia mai abbastanza. 

 

Ma allora come è arrivato ad essere uno dei direttori più conosciuti?

Componevo per il mio piacere. Rielaboravo canzoni popolari che in casa venivano canticchiate dai miei fratelli… un giorno avanzò il desiderio di misurare queste capacità creative confrontandomi con altri coetanei che praticavano musica. Intanto per giocare in compagnia. In seguito trovai il coraggio di propormi come “arrangiatore” per delle melodie composte da un amico cantautore che aveva deciso di finanziarsi una incisione. Una volta preparato il materiale mi ritrovai però nella necessità di avere un direttore. Ricorsi ad un altro amico che studiava direzione e che aveva avuto già esperienze in studio. Non volevo inciampare al primo passo. Qualche giorno precedente alla data della registrazione analizzai insieme a lui la partitura e quando poi fummo con l’orchestra davanti ai microfoni stetti incollato al suo fianco per tutto il tempo. Capii che, studiando adeguatamente, avrei potuto, nel futuro, dirigere i miei lavori. Almeno quelli! Così da condurli a termine come li avevo pensati. Approfondii la lettura in più chiavi, la notazione trasposta e cominciai a praticare il gesto allo specchio secondo i pochi libri che circolavano sull’argomento. 

 

In sintesi, divenni direttore della musica che per lavoro mi capitava di scrivere.
Poi giunse la televisione. Componevo ed elaboravo materiali per i programmi di varietà e laddove c’era una orchestra in video ne dirigevo l’esecuzione. Non nego che quella visibilità cui accennavo prima è fortemente adescatrice. Per strada ti riconoscono e ti mostrano apprezzamento. Questo solo perchè sei stato in televisione. È fuorviante anche per uno prudente e realista come me, tanto che cominciai a pensare che sarebbe stato bello dirigere le importanti pagine del repertorio di sempre, leggere o classiche che fossero. Ci volle poco per accorgermi che faticavo a studiare i materiali altrui. Portavo sempre a casa il risultato ma la sensazione di disagio, di fatica, talvolta addirittura di inadeguatezza, era sempre lì, presente, come a volermi dire qualcosa che non riuscivo a vedere. 
Ci è voluto qualche anno per capire che per essere a mio agio e per godere del dirigere dovo eseguire ciò che scrivo. 

 

Per il Festival di Sanremo del 2024 ha scritto qualche partitura?

No.

 

Quindi non la vedremo sul podio?

Quindi no.

 

Nessun partecipante ha richiesto una sua collaborazione?

Quest’anno non ho lavorato per nessuno degli artisti che è stato invitato all’Ariston quindi è automatico che io non sia coinvolto nel festival. 

 

Spesso dirigeva più artisti di una stessa casa discografica, non ha più rapporti di questo tipo col settore?  

L’attuale scena discografica è cambiata, molto, rispetto ad una decina di anni fa. 
Anche quelle competenze alle quali una azienda del settore, oppure un artista, facevano riferimento per la scelta di un arrangiatore-direttore sono cambiate. Prima, per garantirsi una trascrizione efficace, un interlocutore capace di dialogare con una struttura professionale complessa come l’orchestra (sono più di sessanta professori laureati nel proprio strumento) l’industria si riferiva a riconosciute figure professionali. Direttore e professori parlavano la stessa lingua. 

 

Oggi i computer con i quali si realizza gran parte della musica in commercio ti permettono di veder trascritto e stampato ciò che hai suonato con una tastiera per simulare i suoni dell’orchestra classica. Al massimo, se non sai indirizzare il software, ti ritrovi che venga annotato in pentagramma un SOL diesis che magari sarebbe stato meglio segnare come LA bemolle oppure che la nota grave assegnata ad un determinato strumento non è suonabile perchè oltre i limiti strutturali della sua estensione. Ma, sempre oggi, a questo problema rimediano gli stessi professori alzando quel suono di una ottava. Spesso lo fanno d’ufficio per non creare inutili perdite di tempo in richieste di chiarimenti perchè sul podio magari c’è un programmatore a digiuno di nozioni sull’orchestrazione che non saprebbe neanche risponderti. Ciò non toglie che quel prodotto potrebbe diventare un grande successo, e questo, oggigiorno, non solo giustifica, ma avvalora qualunque scelta. 
I vantaggi della tecnologia sollevano anche l’orchestra nel dipendere dal gesto di chi sale sul podio perchè, già da un bel po’ di tempo, quasi tutti i brani utilizzano sequenze pre-registrate sulle quali ci si può appoggiare. Diciamo che per andare in sincrono con quello che c’è pre-registrato in queste sequenze bisogna seguire un metronomo che pulsa nelle cuffie. Sempre in cuffia c’è una voce campionata che scandisce ai professori i movimenti che precedono l’attacco. Il classico …one, two, three etc.

 

E se mentre i professori in cuffia ascoltano il count-up per la partenza il direttore restasse immobile?

L’orchestra attaccherebbe lo stesso e, con o senza la partecipazione gestuale del direttore, arriverebbe comodamente al finale. Guardi che è accaduto che qualcuno si sia attardato al bar… l’esecuzione ha avuto comunque luogo. Un’altra volta un collega si è portato le proprie cuffie ed il malcapitato che è arrivato dopo non si è accorto che quelle appoggiate sul leggio a disposizione di noi tutti erano scollegate. L’assistente di studio diede il via libera dopo l’annuncio dei conduttori. Il direttore fece cenno al programmatore di avviare la sequenza. Il metronomo partì. L’orchestra lo sentiva mentre il direttore si stava chiedendo “ma quando parte”? L’orchestra attaccò che il direttore stava ancora guardandosi in giro per capire cosa stesse accadendo…

 

In questi giorni una “gola profonda” interna all’orchestra si è anonimamente lamentata della mancanza dell’ABC di non pochi direttori presenti quest’anno sul podio. Posso chiederle semplicemente 
se secondo lei  io stesso potrei dirigere a Sanremo? 

Se il brano facesse uso di sequenza con relativo metronomo in cuffia le dico di sì, senza neanche chiederle se sa leggere la musica in generale o nel particolare quella che c’è scritta nella partitura sul leggio. Quella stessa musica che ovviamente i professori dell’orchestra devono e sanno leggere benissimo.

 

Ed un’orchestra con tanta evidente professionalità non protesterebbe per la mia incapacità?

Mettiamola così: l’orchestra non può rifiutarsi di assolvere al proprio compito e poi c’è la speranza di essere riconfermati. Le sequenze pre-registrate salvano la faccia a tutti e infine non sta a loro valutare l’eventuale operato dei direttori del festival. Forse al teatro dell’Opera, al Regio di Parma o all’Accademia di Santa Cecilia non sarebbe così ma è chiaro che quasi nessuno dei frequentatori del podio di Sanremo si avventurerebbe in quelle zone senza la sicurezza delle proprie capacità…

 

O senza sequenze pre-registrate…  

Beh, ovviamente… credo che in quegli ambienti neanche sappiano di cosa si tratti.

 

Lei ha sempre diretto senza queste “sequenze di aiuto”?

No, in alcuni casi era necessario perchè alcuni suoni elettronici, particolari effetti, non erano replicabili dai tastieristi in organico sul palco. Ma quando ho potuto me ne sono liberato con grande gioia, direi “collettiva”. Mi piacciono le fluttuazioni naturali, quelle leggere accelerazioni o dilatazioni che regalano sfumature. Così si accompagna davvero il canto e non il metronomo che potrebbe “imbrigliare” le intenzioni, cioè l’anima di quello che si suona.

 

Lo confessi, le dispiace non essere quest’anno al Festival?

Sono sincero: non mi mancherà il dirigere al festival ma piuttosto mi mancherà non poter essere in quel luogo e proprio in quella settimana,  dove la convivialità con i colleghi, gli incontri, gli scambi di opinioni, i pronostici e le chiacchiere sui retroscena hanno per tanti anni scandito una festività da condividere con i tanti appassionati di questo lavoro. 

 

Allora lo guarderà dalla tv?

Cercherò di seguirlo perchè mi interessa comprendere che direzione prenderà la manifestazione.

 

Ma se non ha lavorato per le produzioni discografiche degli attuali protagonisti cos’altro ha fatto? Oppure hanno ragione i The Jackal nel raccontarci che tra una edizione e l’altra del festival lei viene ibernato?

Ci sono alcune forme di musica che non usufruiscono dei riflettori riservati al settore “pop”. In realtà sono dedito a composizioni e trascrizioni che trovano collocazione nel mondo classico, detto anche colto. Come molti sanno, da una quindicina d’anni buona parte della mia attenzione è impegnata nello studio degli effetti terapeutici di alcune polifonie su piante, cellule ed altri organismi viventi. Siamo ad un punto di svolta e sono contento di poter preannunciare importantissimi risultati, tutt’ora in misurazione, che attendono solo gli ultimi confronti e le necessarie riprove per una validazione che soddisfi anche il giusto rigore del cosiddetto metodo scientifico. Verrà svelato qualcosa che è sotto i nostri occhi da sempre ma che nessuno si è mai impegnato ad indagare sotto specifici profili. Credo sarà scioccante.

 

Sarà scioccante, per molti, non vederla a Sanremo quest’anno. Non crede?

Non credo. È un gioco affettuoso che si è creato in rete e che poi tutti gli altri media hanno riverberato. Ci saranno altre carte in tavola, cose nuove, salterà fuori altro e… la vita va avanti.