Vent’anni fa la cattura dell’ultimo dittatore iracheno: Saddam Hussein 

AGI – L’immagine di un uomo anziano, spaventato, con la barba e i capelli incolti e qualche ferita sulla fronte, fa il giro del mondo il 14 dicembre 2003. La sera prima, esattamente 20 anni fa, l’ex dittatore iracheno Saddam Hussein viene individuato e arrestato dai soldati americani che si trovano in Iraq da marzo. La fine del suo lungo potere risale a otto mesi prima, quando sulla testa del dittatore in fuga viene messa una taglia da 25 mila dollari, probabilmente decisiva per la sua cattura.

L’invasione dell’Iraq da parte delle truppe americane risale al precedente mese di marzo, sull’onda di quella guerra al terrorismo islamico che George W.Bush aveva scatenato in risposta all’attacco dell’11 settembre 2001. Sull’Iraq di Saddam pesa l’accusa di detenere “armi di distruzione di massa”: il dittatore lo ha continuato a escludere fino alla fine, e l’accusa si rivelerà infondata, strumentale per giustificare l’attacco degli Usa di Bush al Paese mediorientale.

Le statue di Saddam, che ha guidato l’Iraq con pugno di ferro e coltivando il culto della personalità per quasi 24 anni, sono già state abbattute in tutto il Paese quando i soldati americani lo trovano nascosto in un angusto rifugio sotterraneo scavato sotto una trincea nel villaggio di Al Dawr, sulla sponda del Tigri nella zona di Tikrit, a nord di Baghdad: la sua città natale e ultima roccaforte dei suoi sostenitori. In cattive condizioni igieniche, quando viene trovato Saddam dimostra più dei suoi 66 anni.

Veste una lunga tunica chiara e una vecchia giacca blu, con una sciarpa al collo. I capelli, ancora neri, sono lunghi fino alle spalle, e la barba grigia incolta. L’ex leader sanguinario e senza scrupoli non prova nemmeno a usare le armi che chi lo ha nascosto nel cunicolo gli ha lasciato, ma anzi supplica i militari Usa di “non sparare”. Dopo la cattura, avvenuta dunque senza spargimento di sangue, passerà più di tre anni in carcere, prima di essere condannato a morte per crimini contro l’umanità in un processo e quindi impiccato, il 30 dicembre del 2006.

L’allora primo ministro Nuri al-Maliki firmò la sua sentenza di morte. Inizialmente sepolto a Tikrit, per evitare che il luogo divenisse meta di pellegrinaggi fu successivamente spostato altrove; la figlia in diverse occasione ha auspicato il “ritorno in Iraq” delle spoglie del padre, ma tre anni fa, secondo l’allora premier Mustafa Al-Kadhimi, i resti furono portati nella zona verde di Baghdad, proprio dove si trovano gli uffici del governo.